taglio di oltre il 19% del prezzo al litro del latte, che è sceso dai 44,5 centesimi dell’ultimo accordo scaduto a giugno 2014 ai circa 36 attuali, sta determinando agli allevamenti una perdita di oltre 25 milioni di euro, un colpo durissimo che non lascia loro scampo.
Ormai è allarme rosso per la nostra zootecnica da latte - denuncia Alberto Brivio, presidente di Coldiretti Bergamo – che difficilmente riuscirà ad assorbire questa drastica riduzione di reddito, senza accusare pesanti contraccolpi. E’ incomprensibile questo atteggiamento della parte industriale soprattutto se si considera il fatto che il prezzo al dettaglio del latte fresco non è stato uniformato al taglio applicato agli allevatori e continua ad essere superiore all’euro. Anzi al netto di qualche offerta promozionale, le famiglie stanno pagando come minimo un euro e 20 centesimi al litro. Stesso discorso per quasi tutti i prodotti lattiero caseari”.
La situazione ha ormai raggiunto livelli insostenibili e il settore è sempre più in difficoltà. Secondo un’analisi della Coldiretti provinciale le stalle da latte nella bergamasca sono passate dalle 783 del 2013 alle attuali 764, una continua e inesorabile contrazione che sta devastando un patrimonio non solo ricco di storia e di tradizioni culturali, ma anche di opportunità economiche ed occupazionali fondamentali per il tessuto agricolo e sociale nonché per la tenuta degli assetti ambientali.
Di questo passo – afferma con amarezza Brivio - presto la nostra produzione di latte verrà azzerata e dovremo aprire le porte al prodotto “senza identità” che arriva dall’estero. Ormai la remunerazione del latte alla stalla è troppo bassa e non basta più neppure a coprire i costi di produzione. Si tratta di una vera e propria assurdità visto che nel nostro Paese il 65% della popolazione, circa 31 milioni e mezzo di individui, consuma abitualmente latticini e formaggi (dati GFK Eurisko): il 25% consuma Grana mentre il 58% punta su latte e formaggi freschi che sono proprio quelli più a rischio per quanto riguarda l’utilizzo di prodotti e semilavorati che arrivano dall’estero”.